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Papà non è tornato per cena. Quando è rientrato era così tardi che non ho avuto il coraggio di chiedergli nulla1. Non era il momento opportuno. Mi avrebbe fulminato e non potevo bruciarmi la mia unica possibilità. Io sono ancora sveglio perché sto cercando di scrivere il compito per il Sognatore2. Non mi è mai fregato niente dei compiti difficili. Quando non mi riescono vado a dormire tranquillo e li copio il giorno successivo. Non so perché in questo caso c'è in gioco qualcosa di più, che mi spinge ad accettare la sfida. Come se, gettando la spugna, tradissi il Sognatore o me stesso. Sono davanti allo schermo del computer. Scrivo le domande del titolo: "Perché Roma, Alessandria e Bisanzio sono state bruciate dai loro conquistatori? Cosa animava barbari, arabi, turchi? Cosa li rendeva simili pur essendo così diversi?". Bianco. Non mi viene niente. Bianco come questo maledetto schermo. Bianco come il sangue di Beatrice. Chiamo Silvia. Non risponde. Silvia lascia sempre il cellulare acceso perché vuole che io possa chiamarla in qualsiasi momento se ho bisogno di aiuto. Silvia è il mio angelo custode. L'unica differenza è che lei la notte dorme, e a volte non sente il cellulare vibrare, come adesso. Devo risolvere da solo. È tardi. Fuori c'è il nero della notte e la mia mente è bianca. Cerco di trasformarmi in uno di quei saccheggiatori e mi chiedo cosa voglio ottenere dando fuoco ai libri che contengono. Mi aggiro per le strade polverose di Roma, di Alessandria e di Bisanzio, che poi ho scoperto essere diventata Costantinopoli e poi Istanbul, e in mezzo agli strepiti e alle urla della gente do fuoco a migliaia di libri. Mi sbarazzo di tutti quei sogni di carta e li trasformo in cenere. Li trasformo in fumo bianco. Ecco la risposta. Incenerire i sogni. Bruciare i sogni è il segreto per abbattere definitivamente i propri nemici, perché non trovino più la forza di rialzarsi e ricominciare. Non sognino le cose belle delle loro città, delle vite altrui, non sognino i racconti di altri, così pieni di libertà e di amore. Non sognino più nulla. Se non permetti alle persone di sognare, le rendi schiave. E io, saccheggiatore di città, adesso ho bisogno solo di schiavi, per regnare tranquillo e indisturbato. E così, non rimanga parola su parola. Ma solo bianca cenere dei sogni antichi. Questa è la distruzione più crudele: rubare i sogni alla gente. Lager pieni di uomini bruciati con i loro sogni. Nazisti ladri di sogni. Quando non hai sogni li rubi agli altri, perché non li abbiano neanche loro. L'invidia ti brucia il cuore e quel fuoco divora tutto… Quando finisco di scrivere fuori è buio come prima, e dal nero della notte io ho rubato i sogni che adesso riempiono lo schermo bianco. Ho scoperto qualcosa: studiando, scrivendo. È la prima volta, ma non prenderò l'abitudine… E naturalmente l'inchiostro nero della stampante è finito, non mi resta che stamparla a colori. Rosso.
Il Sognatore gira per i banchi a controllare l’esito della ricerca. Tutti sembrano averla svolta. A turno, chi vuole è chiamato a leggerla ad alta voce. Sembra di immergersi nella polvere e nel fuoco di secoli fa, eppure siamo in classe. Tutti hanno scritto qualcosa di cui sono orgogliosi, almeno quelli che hanno il coraggio di leggere. Io naturalmente non sono tra loro, leggere ad alta voce è come cantare. Suona la campanella. Ci affrettiamo a consegnare i nostri compiti, ma il Sognatore non li vuole. Incredibile! Preferisce che conserviamo la risposta che abbiamo trovato. E la custodiamo per noi stessi.
Il Sognatore è proprio un pazzo. Ti dà i compiti e poi non ti mette il voto. Che razza di professore è uno che non ti mette il voto? Certo però che è riuscito a far svolgere a tutti la ricerca. Anche a me, nel cuore nero della notte. Allora forse non è necessario il voto per costringerti a studiare. Il Sognatore rimane seduto benché la classe si stia svuotando. Sorride e gli brillano gli occhi. Ha fiducia in noi. Ci crede capaci di fare cose belle. Forse non è del tutto un fallito.
Non lascerò che i saccheggiatori brucino i miei sogni e li riducano in cenere. Non lo permetterò a nessuno. Rischio di non rialzarmi più. Invece Beatrice ha bisogno di me e non di un cumulo lagnante di macerie. Non voglio dimenticarmi quello che ho scoperto.
Non voglio perché è troppo importante, ma ho la memoria scadente. Devo scrivere tutto, altrimenti dimentico. Forse l’unico modo di salvarmi dalla mia memoria è diventare scrittore. Ne voglio parlare con Silvia, è l’unica che non mi prenderebbe in giro. Come se avesse ascoltato i miei pensieri si avvicina, mi si stringe al braccio e appoggia la testa sulla mia spalla.
«Cosa volevi ieri? Ho visto la chiamata solo stamattina».
«Volevo una mano per la ricerca».
Silvia solleva la testa e mi fissa con un’espressione triste:
«E certo. Cos’altro?»3.
Si stacca e si allontana.
La fisso andar via con la sensazione di non aver capito, come quando papà mi dice qualcosa e ne intende un’altra. A proposito, devo parlare con papà prima che me ne dimentichi...