Divina Commedia - Purgatorio, canto VI

DOVE • ANTIPURGATORIO: SECONDA BALZA

Dante e Virgilio si trovano ancora sulla seconda balza della montagna. Come si vedrà nei canti successivi, un sentiero taglia obliquamente la balza e conduce verso destra a una splendida valletta, piena di fiori profumati di mille colori, in cui sostano principi e signori che, presi dalle cure del governo, hanno tardato a pentirsi. Sul limitare della valletta sarà possibile ai due pellegrini osservare i principi, per poi calarsi all’interno e dormire sull’erba (canti VII e VIII). Santa Lucia trasporterà quindi Dante addormentato davanti alla pesante porta del purgatorio, preceduta da tre gradini di diverso colore, che si apre nella spaccatura della roccia che costeggia la seconda balza. Sulla soglia un angelo inciderà con la punta della spada sulla fronte di Dante sette P, a indicare i sette vizi capitali, che dovrà purificare perché gli siano cancellate all’uscita di ogni cornice. Poi, estratta una chiave d’oro e una d’argento, aprirà la porta (IX) e i due poeti saliranno per uno stretto sentiero scavato nella roccia fino alla prima cornice, un ripiano che circonda la montagna, dove si purificano le anime dei superbi gravate da macigni così pesanti che esse sembrano deformi cariatidi piegate in due dal peso (canto X).
Lo zoccolo della parete della montagna lungo la cornice è di marmo bianco scolpito con bellissimi altorilievi che rappresentano esempi di umiltà.

Purgatorio canto III

La valletta dei principi

In parallelo con il nobile castello del limbo, la zona privilegiata dell’inferno dove Virgilio e altri magnanimi personaggi dell’antichità risiedono in eterno, anche nel purgatorio c’è un locus amoenus: la valletta dei principi.
Incavata sul fianco del monte, è uno spazio verde incantato, ricolmo di fiori variopinti e profumati, circondato da un rialzo che fa quasi da riparo e a cui giunge un sentiero ora ripido ora piano che taglia di traverso la balza.
Vi soggiornano tanto tempo quanto vissero più di mille principi e sovrani, colpevoli di aver dimenticato in vita che il potere era stato affidato loro da Dio e che avrebbero dovuto usarlo non per i loro personali interessi ma per far prosperare il bene comune, la giustizia e la pace.

Balza o balzo?

Per indicare i gradoni che intervallano l’antipurgatorio è tradizione usare il sostantivo femminile balza con il quale vengono resi i termini balzo e cinghio effettivamente usati da Dante.
Tanto balza quanto balzo derivano dal termine latino balteum (plurale baltea) che come primo significato aveva “cintura” ma per estensione voleva anche dire “luogo circondato da dirupi”.
Presente nella Commedia con 7 occorrenze, di cui 3 nell’Inferno e 4 nel Purgatorio, il termine balzo è attestato nell’italiano volgare fin dal 1297 per indicare un salto, un’omissione. Pare sia stato Dante a utilizzarlo per primo come sinonimo di cinghio con il significato di “gradone di roccia che interrompe il pendio di un monte seguendone il profilo circolare” o di “ripiano che si affaccia su un luogo scosceso” e quindi anche di “cerchio infernale”.

I gradini di tre colori

Dante e Virgilio alla porta del purgatorio, da una miniatura del Dante Urbinate, il codice della Commedia commissionato da Federico da Montefeltro al copista Matteo Contugi, Biblioteca Vaticana, Roma.

I tre gradini che conducono alla porta del purgatorio rimandano a tre momenti del sacramento della riconciliazione.
Il primo, bianco come il marmo e così lucido da riflettere come uno specchio, rappresenta l’esame di coscienza, quando chi sta per confessarsi si guarda dentro e in tutta onestà riconosce le proprie mancanze.
Il secondo gradino rappresenta l’accusa dei peccati, il momento in cui, davanti al sacerdote, si dichiarano a voce alta i peccati commessi: è il momento più difficile, più ostico, perciò il gradino è scuro, crepato e ruvido come la pietra pomice.
Il terzo, color rosso sangue come il porfido, esprime il dolore per il male commesso: senza rimorso non c’è vera consapevolezza di quanto fatto né vero pentimento; senza riparazione, diretta o mediata dalle opere di carità e dalle penitenze, non c’è riconciliazione con Dio e con i fratelli.

L’angelo portinaio

Domenico di Michelino, Dante con il libro della Commedia, i tre regni e la città di Firenze, 1465, cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze.

L’angelo nocchiero incontrato sulla spiaggia e gli altri angeli che Dante incontrerà in purgatorio hanno tutti vesti splendenti. Tutti, tranne l’angelo portinaio, che ha un aspetto più dimesso. Infatti è l’angelo confessore e come ogni buon confessore deve essere capace di annullare la propria personalità per ascoltare senza pregiudizi e giudicare senza acrimonia.
L’angelo si presenta sulla soglia della porta – una soglia che è di diamante, quindi ha un effetto specchio e infatti simboleggia la purificazione dell’animo seguita alla confessione, ma è anche dura e incorruttibile a rappresentare l’impegno a non ricadere nel peccato –  tenendo in mano tre oggetti, segno del suo potere: la chiave d’oro rappresenta l’autorità concessa da Dio al confessore di rimettere i peccati; la chiave d’argento rappresenta la capacità di riconoscere il sincero pentimento e il rimorso; la spada fiammeggiante simboleggia la forza della giustizia divina.