Uno dei maestri della critica contemporanea legge due grandi testi medievali: "La forte e nova mia disaventura" di Guido Cavalcanti e "Così nel mio parlar voglio esser aspro" di Dante.
Unite dalla forma di canzone, dalla tensione stilistica e psicologica e dal tema estremo, entrambe raffigurano la condizione dell'amore distruttivo.
Con competenza ed eleganza, lo studioso indaga le ragioni della metrica e dello stile, arrivando anche a una suggestiva ipotesi ideologica.
Le due liriche sono valorizzate ciascuna nella sua specificità, ma anche confrontate fra loro così da illuminarsi a vicenda.